giovedì 29 agosto 2019

Metti che un giorno...

Metti che un giorno...

... metti che c'è scirocco e tutto si appiccica, la pressione scende sotto i piedi, le gocce di sudore rotolano... e allora decidi di andare un po' più su, più in alto, per esempio a Rio Elba.
Dell'eremo di Santa Caterina D'Alessandria ho già raccontato.
Lì vicino, c'è l'orto dei semplici gestito dal signor Ballini che gestisce un apiario, adagiato sul fianco della collina, fra effluvi di salsedine e di rosmarino, produce un ottimo miele e cura e rende produttivo un orto che è un museo vivente di piante originarie native.
Mentre le api vagano di fiore in fiore, passeggiamo per l'orto, leggendo i cartellini in latino, annusando i refoli d'aria, senza toccare, come se fosse un negozio di cristalli.

Il signor Ballini conosce profondamente il funzionamento della società delle api, ed è in grado di mostrarla in un modo non pericoloso per l'osservatore.  E' un mondo affascinante, che è stato notato e segnalato dai media:


Il suo miele è rinomato, ma lo sono anche gli oleoliti di iperico e di elicriso, pronti adesso dopo due mesi di esposizione al sole bollente di questa estate.
Scendendo dall'orto, approfittiamo del portone dell'eremo che fortunatamente è aperto.  E' umido e soffocante, ma la potenza energetica dell'edificio si avvita in spirali infuocate che soffiano verso l'apertura, dove l'aria più fresca di fuori si mischia a quella densa dell'interno.

Usciti all'aperto, mentre la brezza gioca con la chioma degli alberi, un canto misterioso sgorga dalle antichissime pietre, sembra affiorare dal grembo della terra.
Vengo attratta da quel suono, che a volte sembra umano a volte sembra le giravolte del vento fra il campanile e il grande eucalipto centrale, che domina il piazzale antistante.  Mi affaccio al portone, non sapevo cosa aspettarmi, se un coro di angeli o una materializzazione degli stessi.  Sapevo solo che i gorgheggi sembravano gregoriani, quindi non mi attendevo di scoprire dei monaci color zafferano oltre il portone.
Ne emerge, invece, un omino magro vestito da ciclista che mi confida - Sono un direttore di coro....
Ah ecco, commento, e rimango ammirata.  Si trattava davvero di gregoriano, e lo faceva uno che se ne intende.
- Ha un'acustica perfetta questa chiesa - dice lui, salutandoci.
Noi restiamo a bocca aperta e ci allontaniamo.  Lui rientra, si mette al centro dell'acustica perfetta, e ricomincia quel canto fantastico che non sembra umano.

Dopo, decidiamo di rimanere a cena a Rio Elba, luogo che mi piace moltissimo:  ha un respiro e un ritmo che si accordano con i miei.
Non ci sono molti ristoranti tra cui scegliere.  Decidiamo per quello che somiglia di più a un'osteria e non concede molto agli stili moderni troppo sofisticati.  
Beh, lì ci serve un signore - forse il proprietario, forse un cameriere, potrebbe essere chiunque, anche un magistrato di passaggio che ama cimentarsi in cucina, in una parola, un tipo non catalogabile - il quale si mette a discorrere con noi degli studi di Negroponte al MIT (Massachusetts Institute of Technology, luogo sacro per informatici e sociologi), del III libro del Capitale di Karl Marx, che lo stava rileggendo proprio in questi giorni e non era d'accordo su certi algoritmi....


Finiamo a parlare di Gaetano Bresci, l'anarchico toscano - pratese come il nostro amico - che nel luglio del 1900 freddò re Umberto I con tre o quattro colpi di pistola.  Bisogna aggiungere che stava vendicando gli anarchici milanesi che erano stati massacrati dal noto Bava Beccaris nel 1889.

L'incontro con queste persone:  uno di quei momenti magici che accadono talvolta quando le cose si mettono con dolcezza a fluire secondo i ritmi dell'Universo, e all'Universo gli gira bene.





venerdì 12 luglio 2019

Edicola Elbana Show



Edicola Elbana Show è la splendida idea di Zio Stix e Federico Regini, con cui mi hanno messa in contatto Valeria Romanini e Pedro Petrucci.  Ispirata a Fiorello e alla sua Edicola - che tra l'altro girava vicino a casa mia, a Roma, sulla via Flaminia.

Regalo il libro che ho scritto su mio padre a Valeria, grande amica e maga erborista, e a lei improvvisamente viene in mente Pedro.  Un colpo di telefono e lui ci raggiunge mentre ci prendiamo un aperitivo nella piazzetta del Barkollo a Porto Azzurro.
Detto fatto, fra una patatina e un sorso di  bianco secco, avviamo l'idea di una presentazione del libro a Portoferraio, il 24 luglio, nella famosa e amatissima libreria di Silvia Boano Mardilibri.

Il 24 alle 19 vi aspettiamo lì!

lunedì 8 luglio 2019

Capobianco



A lungo ho pensato che Capo Bianco si chiamasse così per l'evidente preponderanza del colore bianco, dovuto alla spiaggia di sassi bianchissimi velati di blu, come la maggior parte della costa che va da Portoferraio a Enfola.

Poi, da qualche parte ho letto qualcosa, oppure ho sentito definire quel tratto di costa come la "Costa Bianca"... e allora qualcosa ha cominciato a girare nella testa e ho pensato a Robert Graves.
L'insigne studioso, e raffinato scrittore, pubblicò nel 1948 La Dea Bianca.  Grammatica storica del mito poetico. In Italia lo pubblica Adelphi nel 1992.

Graves sviluppa la sua ricerca seguendo il filo - non proprio scientifico, ma molto spesso ispirato e romanzato - di James Frazer (Il Ramo d'Oro, 1922).  Si tratta di quel tipo di scrittori anglofoni, molto coinvolti dalle discipline esoteriche, che hanno portato avanti ricerche di tipo antropologico e mitologico anche serie, ma spesso velate dal fortissimo coinvolgimento personale.  Si tratta di approcci molto diversi  da quello asettico e "oggettivo" di Karoly Kerényi : non che l'oggettività sia possibile nelle scienze sociali, tuttavia una certa capacità di trovare l'equilibrio fra coinvolgimento e distacco (Norbert Elias) è richiesta allo studioso rigoroso che indaga su materie tanto incandescenti.

Prendiamo quindi con beneficio d'inventario le tesi di Graves, riconoscendone il fascino profondo.  Del resto, c'è anche da dire che, in queste materie, l'aspetto esperienziale personale è raccomandato.  Perciò, possiamo senz'altro accogliere le suggestioni di Graves, sperimentandole personalmente, senza pretendere di definire in modo risolutivo la "verità scientifica" di immagini e concetti.
Graves propone l'idea dell'esistenza, in tempi antichissimi e arcaici, di un'unica divinità europea, signora e padrona della vita e della morte, incarnata nelle fasi lunari e connessa intimamente all'archetipo della Grande Dea Madre Mediterranea (ancora fortemente visibile a Creta nell'antica dea dei serpenti).

Tutte le divinità femminili mediterranee deriverebbero da quell'archetipo originario, rinvenibile nei culti europei successivi, incluso quello cattolico nel quale la Madonna riassume molte caratteristiche dell'antica Dea.

La bianca Leucotea


Approfondiamo questo tema del sacro femminile e del colore bianco.  Su wikipedia leggiamo che:

Leucotea (in greco anticoΛευκοθέαLeukothéa) e letteralmente "Dea bianca", da intendersi forse come "'La dea che scorre sulla schiuma del mare" è un personaggio della mitologia greca ed è una divinità del mare.  Nella mitologia romana viene identificata con la dea Mater MatutaLa Dea Leucotea non è stata generata e non ha avuto sposi o figli.  Di Leucotea, la "dea marina bianca" ed a volte invocata dai marinai in difficoltà, si ha l'esempio più esplicito nell'Odissea quando Omero scrive che emerge dal mare e dona un velo ad Odisseo, quasi naufrago ed in balia dei venti mentre, a riguardo della sua adorazione terrena, ne esiste traccia tra gli scritti di Alcmane che, nel settimo secolo a.C., scriveva dell'esistenza di un santuario a lei dedicato.  Se si considera che la tradizione mitologica dei greci è sempre stata quella di attribuire ad ogni personaggio divino un'ascendenza immortale, la figura di Leucotea rappresenta un'eccezione poiché nei suoi riguardi non esiste alcuna testimonianza che confermi questa consuetudine ed invece sono molte le opere (o leggende) che le attribuiscono un'origine umana.
Tra le due versioni che fanno risalire Leucotea ad una precedente donna mortale, la più diffusa porta ad Ino che, nel riassunto dei suoi svariati miti, commise (od assistette) ad un crimine verso i suoi figli ed in seguito si gettò nel mare.
Ino fu poi tramutata in Leucotea per volere degli dei.
Diversamente dal numero di autori che scrivono di Ino, uno solo (Diodoro Siculo, che tra l'altro non scrive di Ino), racconta di una ninfa di nome Alia che si gettò nel mare per la vergogna della violenza subita dai suoi stessi figli.  Anche Alia prese in seguito il nome di Leucotea.

L'aspetto più interessante di questa ricognizione
 riguardo la Dea Bianca sta in questo:  il contatto del corpo mortale con il mare trasforma la protagonista in una Dea.
Un essere umano di genere femminile diventa divino al solo contatto con l'acqua del mare!  Il tuffo nelle acque salate, giustificato nelle leggende con la delusione d'amore, è in realtà una forma di iniziazione, un processo che divinizza l'umano, che rende immortale il mortale:  in particolare il genere femminile!

Per concludere, farò cenno a uno dei libri che più amo:  Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese.

Leucò è appunto Leucotea.

Ricorderò qui il suo incontro con Circe e il loro discorrere di uomini, come per esempio Odisseo, che rimase imbrigliato nella rete di Circe e poi se ne liberò.
Se ne liberò?
Le due donne divine parlano così:

LEUCOTEA  Troppe cose ricordi di lui.  Non l'hai fatto maiale né lupo, e l'hai fatto ricordo.
CIRCE  L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale.  Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.  Nomi e parole sono questo.  Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnàti.
LEUCOTEA  Circe, anche tu dici parole.
CIRCE  So il mio destino, Leucò.  Non temere.

Confini e tessitrici di confini: donne e maghe


Nè maiale nè lupo, l'uomo non sa, non capisce.
E la donna, Leucò, si tuffa nell'acqua salata e sacra del mare e diventa Dea!

Quello che è interessante è che un uomo, la sensibilità di un uomo, abbia colto così in profondità l'importanza del mito femminile, il mito mediterraneo, e la sua dissoluzione nella cultura contemporanea.
Il femminile è associato al mare, soprattutto alla spiaggia.  Anzi, a quel particolare spazio, sempre cangiante, che separa la spiaggia dal mare e che nello stesso tempo li unisce.  Parlo di quel bordo mobile che separa l'acqua dalla terra e che è in costante destrutturazione.  Un classo ciclo critico:   frammentazione e dispersione del confine, sommovimento, ridefinizione del confine, nuovo assetto precario.  E' il confine più ansioso che conosciamo:  ben diverso da quello fra mare e cielo, molto più solido e affidabile.  Lì è facile percepire la fessura fra i mondi, il passaggio segreto, quello che nel Truman Show diventa la chiave della narrazione.

Ma qui, tutt'altra è la storia.  Qui c'è una rivoluzione continua, e una trasformazione nella continuità, perché poi alla fine, il confine resta sempre quello, salvo mareggiate  storiche (tra l'altro, sempre più frequenti).

Quindi il femminile è analogo a un confine osmotico e provvisorio, ciclico, imprevedibile, non codificabile.  Il femminile governa la soglia e non ne cede le chiavi a nessuno:  troppo  problematica la soglia fra acqua e terra, troppo incontrollabile.  Proprio come  la fecondità femminile, o come i poteri della magìa.

E, quindi, la dimensione del confine, specie se incontrollabile, richiede il polso fermo e potente della donna, della femminilità, della Dea.  Ecco perchè, quando ho letto o sentito parlare della "costa bianca", mi ha raggiunto immediatamente la presenza totalizzante e fascinosa della Dea Bianca.  La Dea di Robert Graves e di Cesare Pavese.

Rivoluzione e mito greco


Dialoghi con Leucò è il libro che tenevo sul comodino a vent'anni, e che leggevo a tratti, ogni notte, dopo quelle giornate di lotte e ragionamenti, di esplorazioni e di progetti, di fughe e di speranze:  gli anni Settanta.  Gli anni del capovolgimento del mondo, che poi ci ha inghiottiti e macinati.

C'era la rivoluzione nei nostri sogni giovanili.

Ma Dialoghi con Leucò era un refrigerio e una consolazione, un approdo e un rifugio.  Perchè la radice del mito affonda profondamente nella nostra essenza.  Perchè prima che cristiani o marxisti, nelle profondità della psiche, noi europei siamo inevitabilmente greci!

venerdì 28 giugno 2019

ENFOLA 2019: Il mito del tuffo in mare



Capo Enfola non è solo un luogo affascinante e misterioso in cui avventurarsi, fra rocce ammantate di elicriso, vento e gabbiani. E' un luogo storico.  

Scrive Umberto Mazzantini:

Settanta anni fa, all’alba del 17 giugno 1944, le truppe alleate, costituite in gran parte dalle truppe coloniali francesi agli ordini del generale  Jean-Marie de Lattre de Tassigny, provenienti dalla Corsica, attaccarono Marina di Campo, ancora in mano alle truppe naziste e italiane, dopo aver neutralizzato la piazzaforte annidata nel promontorio dell’Enfola.
Era l’Operazione Brassard, una spedizione di un centinaio di navi inglesi e americane che riversarono sulla spiaggia campese, allora una distesa sterminata di dune che si spingevano per centinaia di metri nell’entroterra. L’attacco suicida di truppe senegalesi e marocchine, completamente drogate e ubriache per affrontare i campi minati sui quali morirono a centinaia, in cambio ebbero 48 ore di mano libera durante i quali i “civili” comandi francesi e inglesi voltarono lo sguardo dall’altra parte mentre  in tutta l’Elba occidentale venivano violentate più di 200 donne e compiute violenze e saccheggi contro gli elbani.
I segni della guerra sono evidenti, ma altri sono i messaggi che lancia la terra ora florida ora arsa, la vegetazione marina, che sa di sale, sole, nuvole, foglie, venti.
Le rocce lunari ti sorprendono all'improvviso, quando meno te l'aspetti, dopo sentieri impervi, verdi-azzurri, luminescenti per il giallo dell'elicriso e dell'iperico, ancora per pochi giorni.
Poi capisci che La Nave nasconde altre verità, più preziose, più segrete.  Non ricordo chi, dove e quando, ma qualcuno mi ha raccontato la solita storia che affiora nei racconti popolari circa donne infelici per amore che si gettano da una rupe, da uno scoglio... in mare, nel lago, nel fiume...
Sempre una donna infelice d'amore si getta nell'acqua.
E se fosse invece un'esploratrice? Una viaggiatrice tra i mondi che vuole esplorare le profondità più profonde del pianeta, quelle dell'acqua, che costituisce evidentemente un mezzo di comunicazione col centro della terra, perchè essa penetra, affonda, fluisce... più a fondo di qualsiasi altra cosa.
Le culture patriarcali non possono accettare l'idea di una donna ricercatrice, una donna che osi sfidare i limiti della materia, dell'acqua, per esplorare il mondo infero, per addentrarsi nella psiche, per sfiorare il grande vuoto che contiene tutte le immagini della realtà.
Anita Seppilli, in Sacralità dell'acqua e sacrilegio dei ponti, lo spiega bene.  L'oceano e ogni luogo d'acqua hanno sempre rappresentato, nell'immaginario e nel culto, una delle porte degli inferi, dell'inconscio, del Sé.
L'acqua, specie se profonda, rappresenta anche per le culture sciamaniche uno dei canali che conducono al Mondo di Sotto, un accesso privilegiato al mondo dei morti, agli inferi, agli strati più inaccessibili della psiche umana.  L'acqua è una delle forme della Grande Soglia.
Ecco perchè tante leggende e storie e favole popolari su vicende umane critiche che si concludono in mare, nei laghi, in fondo ai fiumi.
In tutte queste vicende c'è sempre un contenuto di amori delusi, traditi, di amanti perduti, morti, fuggiti... Saranno, gli amanti, un simbolo di quell'amante invisibile che rappresenta la parte misteriosa e spirituale di ognuno di noi? Saranno queste storie d'amore una metafora del viaggio della vita? Saranno immagini dei percorsi iniziatici?
Fatto sta, che le protagoniste sono sempre le donne.  Perchè sono più romantiche? Più fragili in amore? O, al contrario, perché sono più forti, più esperte, più capaci proprio nell'attraversare i territori dell'ignoto, della psiche profonda, della Grande Soglia e del mondo dei morti?  Forse si tratta di donne che in qualche modo richiamano il mito di Persefone, la figlia della spiga di grano che si immerge nell'Ade e diventa regina dei semi che maturano nell'ombra e nel silenzio, le anime dei morti, che poi ritornano, rifioriscono, rinascono.
Le alte scogliere di Enfola contengono in sé il mito di Persefone, Cavtha per gli Etruschi che vissero qui a lungo, la dea degli inferi e degli amori perduti e ritrovati.
Qui il mito è forte e potente. Si incarna nell'elicriso che fiorisce con energia virulenta sul bordo della scogliera. Elicriso, erba del sole, colora Persefone con i colori solari di Cavtha, dea del sole ctonio. splendente anche di notte.