mercoledì 15 luglio 2020

Poseidon a Porto Azzurro

Alle Tre Punte

Laggiù, proprio in fondo alla Pianotta - mi dice l'amica erborista con i capelli annodati sulla nuca e gli occhi luccicanti - laggiù... alle Tre Punte!

Vado scivolando con i sandali sugli scogli rossi che trasudano ferro, saltellando fra arricciamenti sconnessi, crepacci, buche e trabocchetti, piccoli fiordi in cui l'acqua si insinua spumeggiante, nutrendo patelle e pomodori di mare, mentre piccoli granchi dorati si afferrano pervicaci alla roccia battuta dal mare.

Arrivo all'estremità della rocciosa Pianotta, il vanto di Porto Azzurro, l'orgoglio dei Longonesi, anche di quelli acquisiti come me.  E trovo una via di mezzo fra le Maldive,Tulum e la Costa Brava.  Il cosiddetto angolo di paradiso.

Le Tre Punte si vedono bene se ti tuffi in acqua, nuoti per qualche metro e osservi quel tratto di costa dal mare.  Lo spettacolo è suggestivo e, immediatamente, associ le tre lingue di roccia che si allungano nell'acqua turchese e verde al tridente di Poseidone, il dio greco del mare che per i Romani era Nettuno e per gli Etruschi Nethuns.

https://www.astroteosofia.it/tema-della-morte-capitolo-tre-la-dimensione-nettuno/

Posedeia

Poseidone è una divinità molto importante per il genere umano, per l'Homo Sapiens Sapiens, in particolare.  In primo luogo, occorre dire che probabilmente l'essere divino fu in origine Posedeia, una antichissima, poi dimenticata, Grande Madre.  Il che contribuisce ad associare al mare una qualità femminile più che maschile.  Uberto Pestalozza, nei suoi studi sulla Grande Madre mediterranea, ribadisce la sua natura marina prima che terrestre, caratteristica che riscontriamo in molte divinità collegate alle acque, come Afrodite, che rappresenta la cresta spumeggiante delle onde.

Anche il tridente - che è l'attributo di Shiva, divinità centrale dell'Induismo, ha per noi europei un richiamo tutto speciale all'universo simbolico femminile.  Il triskele e la triquetra dei Celti, infatti, rappresentano i tre elementi visibili (terra, acqua, fuoco)  - spesso racchiusi in un cerchio, l'aria, che li condensa - ma soprattutto simboleggiano i tre stadi del ciclo femminile (giovane, matura, anziana) e le tre fasi visibili della luna (crescente, piena, calante).

Triskele 
Triquetra

Poseidone è importante per noi umani anche per un altro motivo, condensato nel mito del Minotauro, il mostro generato dalla moglie di Minosse, Pasifae, che si innamorò e si fece ingravidare dal toro bianco. Sembra una storia di corna fra moglie e marito, in realtà è la storia di un altro tradimento ben più grave:  quello dell'uomo che non ha voluto onorare il sacro ed è stato punito.  La storia della lussuriosa Pasifae, infatti, comincia col patto stretto da suo marito Minosse, re di Creta, col dio Poseidon, che gli mandò un toro bianchissimo e bellissimo perché venisse sacrificato in suo nome.

Il tradimento

Come noto, Minosse pensò bene di ingannare il dio, sacrificò un altro toro e nascose quello bianco nell'illusione di farla franca.  Fu il simbolo del rifiuto del genere umano di onorare la Natura, il volere degli dèi, le leggi del Cosmo, l'equilibrio e l'armonia del mondo umano con quello divino.

La passione carnale di Pasifae fu appunto la vendetta degli dèi per la rottura del patto d'onore degli umani con la Sorgente dell'Universo, del visibile con l'invisibile, del conscio con l'inconscio.

E' da allora che gli umani ignorano il patto con la Natura.
E guardate dove siamo arrivati!
E' da allora che i più consapevoli cercano di riscattare quella colpa primigenia, tentando di saldare il conto, onorando il sacro, connettendosi con l'invisibile, facendo offerte.

Pasifae si accoppia con il toro bianco di Poseidone
antveral.wordpress.com

Un bagno alle Tre Punte, dunque, sintetizza molti secoli di ritualità arcaiche e molte pagine di ricerca mitologica:  un invito appagante a immergersi in acque magiche in cui sicuramente nuotano invisibili Ondine e misteriose Nereidi.  Per chi non crede alle sirene, consiglio le riflessioni sui luoghi acquatici di Kriket, una sciamana che condivide con gli internauti avventurosi facili riti e semplici meditazioni capaci di sfruttare appieno tutte le potenzialità magiche delle acque, dolci e salate.

Captare le energie del Cosmo

Ma nella simbologia delle Tre Punte non c'è solo il numero 3 e non c'è solo Poseidon-Posedeia, divinità marine primordiali, dell'Oceano originario da cui tutto ebbe inizio e a cui tutto ritornerà.
Dobbiamo esplorare anche l'immagine della punta, che ci rimanda al bastone del potere sciamanico, alla bacchetta della strega, al menhir, al lingam di Shiva, alla lancia, alla spada e al pugnale, nonché ai preziosi quarzi a punta, meglio se biterminati, che usano gli sciamani di molte culture.  Ma appartengono a questa categoria anche i copricapi a punta, i cappucci dei mantelli rituali, le cupole puntute dei templi e persino i meravigliosi campanili che adornano i nostri borghi e le nostre città.

Menhir -  greenme.it


Shivalingam - Wikipedia

La punta è un'antenna, un mezzo di connessione con le energie cosmiche.  Di solito è direzionata verso l'alto, tesa a cogliere le energie delle stelle, degli innumerevoli soli, delle galassie.  Se affonda profondamente nel terreno in cui è incastonata, essa vuole mettere in comunicazione le energie stellari con quelle del centro della Terra, con le luci abbaglianti del magma interno, con lo scintillìo dei cristalli che crescono dalle rocce.

Rituale per un incantesimo

E se è protesa sul mare, in senso orizzontale, come nelle nostre coste ricche di golfi, cale e calette, anfratti misteriosi?  Qui, la punta diventa una proiezione verso l'infinito dell'orizzonte terracqueo, mentre indica una via, un percorso verso le isole dei beati, verso Avalon, verso le terre nascoste dell'isola che non c'è.  Essa indica ai naviganti le scogliere fatali, ma alle streghe che si recano fino alle perigliose estremità, battute dalle onde, insegna dove intercettare le energie del vento e della schiuma per i loro incantesimi.

Nove onde per un incantesimo, con il ritmo cantato di Afrodite, che accoglie le offerte e le trasforma in desideri esauditi. Se vuoi, immergiti in questo rito delle 9 onde ispirato a quello di Sandra Kynes:

Madre Oceano, chiedo nove piccole onde di benedizione su di me
Una piccola onda per il mio sorriso
Una piccola onda per la mia voce
Una piccola onda per la mia risata e per il mio coraggio
Una piccola onda per la mia scelta
Una piccola onda per la mia visione
Una piccola onda per la mia ricchezza e la mia perseveranza
Una piccola onda per la mia generosità
Una piccola onda per la mia salute
Una piccola onda per la mia verità e per la mia resa
Madre Oceano, chiedo nove piccole onde di benedizione su di me.

La terza, sesta e nona onda sono chiavi di spiritualità.

Puoi benedire con questo rito oggetti, persone, situazioni, intenzioni.
Ita Est!

Porto Longone, 15 Luglio 2020



venerdì 7 febbraio 2020

Donne di Rio, donne elbane: fra il respiro del mare e il battito della foresta






Questo progetto ha per obiettivo l’empowerment delle donne elbane, che hanno alle spalle una storia in gran parte ignota, ma di cui possiamo ricostruire la struttura, l’ossatura.  In senso letterale, visto che le ossa erano considerate dai nostri antenati il luogo dell’anima, quella parte di anima che resta nel fisico, sulla terra.

Lì ci sono strutture mentali, modi di pensare, sentire, percepire la realtà che sono specifici, caratteristici dell’isola.  Le ricerche compiute sulle donne elbane, in particolare le donne di Rio (Peria 2012), mostrano le specificità della cultura femminile isolana che si distingue da quella, per esempio, dell’Italia centrale, grazie alla relativa autonomia e al riconoscimento sociale delle levatrici, orticultrici, erboriste,  “medichesse”, la cui rappresentante più significativa è Margherita Bonci, legittimata nelle sue pratiche e terapie degli Anziani della Comunità di Rio (Peria 2012: 125 e sgg.).

Tuttavia, le arti e i  saperi delle donne elbane - che gli studiosi descrivono come indipendenti, creative, coraggiose e guerriere – non sono soltanto la ricaduta  dei processi storici che hanno reso la popolazione dell’isola una popolazione di vedove e vedove bianche.  La precarietà di un mondo in cui gli uomini sono costantemente impegnati in mestieri pericolosi, come la pesca e le guerre, è stata aggravata dal continuo conflitto con pirati e corsari, eserciti di invasori, episodi bellici.

Eppure, non fu solo la contingenza storica a creare il carattere femminile elbano, caratterizzato da autostima e intraprendenza.  Alcune scoperte archeo-antropologiche – realizzate all’inizio e alla fine del secolo scorso - rivelano la presenza su questo territorio di siti antichissimi, ricchi di indizi circa culture materiali e spirituali di tipo matrifocale.  La cultura Villanoviana è un caso esemplare, perché rappresenta un tipo di società, in cui la donna poteva assurgere a posizioni di grande potere, socio-economico, politico e religioso, essendo considerata come il più naturale e spontaneo canale di comunicazione con il divino.

I Villanoviani erano antenati diretti degli Etruschi, che hanno continuato a coltivare – in una società rinnovata ma saldamente incardinata in quelle radici simboliche  – una visione e quindi una politica culturale di tolleranza, libertà e onore nei confronti della donna.  La donna etrusca si permetteva cose che la donna  romana non osava sognare.  Ella poteva coltivare i mestieri artigianali e commerciali, prendere decisioni e, soprattutto, essere un punto di riferimento operativo per la spiritualità femminile:  le erano affidati in autonomia, culti e cerimoniali che a Roma escludevano la presenza femminile.

In questo percorso attingeremo a tempi antichissimi a quelle culture degli antenati e delle antenate delle donne elbane che rappresentano la base genetica, il nucleo duro del DNA mitocondriale, quello che si tramanda solo in via femminile.  Risaliamo a un tempo che non ha potuto lasciare documentazione perché basato sulla comunicazione orale e non scritta, ha lasciato tracce riconducibili, con i metodi dell’archeo-antropologia, alle ricerche di Momolina Marconi, Uberto Pestalozza, Marija Gimbutas, che dimostrano l’esistenza di culture matrifocali a dominanza spirituale femminile nelle popolazioni tirrene, pelasgiche, dolicocefaliche fino a circa il 1000 a.C.

Il nostro progetto mira a ricostruire e ricomporre frammenti della cultura femminile elbana,  in particolare di Rio Elba, cultura che ha attraversato molte epoche e che ha subito minacce e ridefinizioni nel corso dei secoli.  Proponiamo di ripercorrere a ritroso il fil rouge che connette le elbane moderne alle loro antenate più arcaiche, attraverso uno spettro di metodi esperienziali e di consapevolezza, che si basano sulla relazione diretta, intensa e profonda con l’ambiente naturale circostante.

Ciò che ha reso l’Elba quella che è, e le elbane quello che sono – in termini di fermezza, coraggio, indipendenza – è un sapere che risale alla notte dei tempi ma è latente nella coscienza dei contemporanei, in attesa di essere risvegliato.  Proponiamo un percorso, adatto a tutte le età e diretto a entrambi i sessi, che ci ricongiunga con le nostre radici attraverso il contatto non mediato con il mondo naturale, con la rigogliosa e potente natura che avvolge e incornicia la cittadina di Rio.
Gli elementi naturali su cui focalizzeremo l’attenzione sono:  il mare e l’abbondanza di acque dolci; la vegetazione (orti, boschi, erbe, alberi);  il ventre della miniera, che rappresenta simbolicamente la grotta, il grembo, l’utero.  Fu in questo contesto naturale che, nei tempi antichi, iniziarono a forgiarsi quei caratteri isolani specifici e riconoscibili nelle donne elbane.  La storia (di dominazioni, soprusi e miseria) contribuì solo ad accentuare configurazioni simboliche e mentali già presenti nel corpo sociale.  Vorremmo andare alla scoperta e alla sperimentazione di quegli antichi germogli da cui si sviluppò il modo di vita e di pensiero tipicamente elbano e squisitamente femminile.

E’ sufficiente prestare attenzione al territorio per rilevare i punti forti dei saperi femminili.  Le acque dolci, il mare, il lavatoio. L’orto, le erbe, le medicine, la foresta, la miniera, la grotta.  Il percorso è caratterizzato dall’esplorazione di figure e ruoli femminili, codificati storicamente, che si radicano in mentalità di lunga durata e affondano le radici nei tempi preistorici (Italici, Villanoviani, Etruschi).  Le principali figure archetipiche femminili che emergono dalle ricerche storiche, antropologiche e archeo-antropologiche sono:  la levatrice, la “medichessa” o medicine woman, l’erborista, la sacerdotessa, la poetessa/musicista/artista.  Si tratta di ruoli distinti, ma spesso fusi nella stessa persona, che vogliamo esplorare separatamente.


 La Levatrice, colei che conosce il segreto della vita (ma anche del controllo delle nascite), e lavora con i misteri dell’acqua, delle grotte, del latte, del lavatoio, del mare.

La “Medichessa” guaritrice, colei che conosce il corpo, sa interpretare la malattia, la sa circoscrivere ed estrarre, sa convogliare le energie sulla parte malata e accresce le forze di guarigione, colei che recupera la salute sia fisica che psichica.

L’Erborista, colei che conosce il potere delle piante e del calderone in cui prepara decotti, infusi, elisir di lunga vita.

La Sacerdotessa, colei che conosce il sacro ed è in grado di officiare per conto della comunità; l’accompagnatrice dei morenti, colei che benedice i nascituri e che celebra i matrimoni.

 La poetessa/musicista/artista, colei che conosce i segreti del canto, del ritmo, della parola;  il canto delle sirene; il potere terapeutico del tamburo e dei sonagli.

 Vorremmo scoprire queste dimensioni del femminile con lo scambio, la riflessione, la condivisione, ma anche con il rapporto con la natura circostante e grazie all'attivazione del respiro consapevole, attraverso le tecniche dello yoga.


                                                                 

Enrica Tedeschi, PhD in Sociologia e Ricerca Sociale, già docente dell’Università Roma Tre

Valeria Romanini, Imprenditrice, commerciante, esperta di coltivazioni, cura e conservazione delle piante, nonché dell’arte della cosmesi
Enrica Tedeschi ha insegnato sociologia in diverse università italiane. Negli ultimi venti anni, è stata professore aggregato di sociologia della comunicazione e di sociologia delle relazioni interculturali presso l’Università di Roma Tre. Attualmente è docente nel Master Interuniversitario di II livello in Sociologia dei tre atenei romani (Roma “La Sapienza”, Roma 2 Tor Vergata, Roma Tre).
Ha curato ricerche socio-antropologiche sui temi della comunicazione e mass media, nuovi movimenti religiosi, conflitti interculturali, nell’ambito delle attività di ricerca dell’Università di Roma Tre.
È autrice di saggi sociologici.  Fra le monografie più significative: (2005) Sociologia e scrittura. Metafore, paradossi, malintesi: dal campo al rapporto di ricerca. Roma-Bari: Laterza; (2006) Connessioni incerte. Roma: Philos; (2010) I pubblici delle comunicazioni di massa. Matera: Altrimedia; (2011) Il giaguaro e la tigre. Narrazioni, interazioni, culture. Matera: Altrimedia; (2014) Tra una cultura e l’altra. Lo stato dell’arte della sociologia interculturale. Padova: Cleup.
Nel settore della Forest Therapy, è esperta di Yasei Shinrin Yoku secondo il metodo della Wildcraft Forest School (Lumby, Canada).
Blog:

Fin dell'adolescenza è molto attratta dalla natura e, durante le lunghe vacanze nel Cadore, inizia a fare i suoi primi erbari seguendo i testi di Maurice Mességué, grazie ai quali sperimenta la preparazione di unguenti e oleoliti secondo le ricette delle anziane friulane.
Nel 1982, consegue l'attestato di "addetto alle coltivazioni erbacee" presso la sede del centro di formazione professionale in agricoltura di Bibbona, dopo aver seguito il corso di biennale della durata di 1100 ore.
Nel 1987 a Piombino ha il suo primo approccio con l'hatha yoga seguendo i corsi della Maestra Annamaria Londi secondo gli insegnamenti di Gabriella Cella.  Ha viaggiato in
In India nel 1996 e 1997 dove, a Pushkar, ha seguito un corso di hatha yoga presso un bramino locale.  In Italia ha seguito diversi corsi presso insegnanti altamente qualificati.
Dal 2002 si occupa del suo negozio di erboristeria, sito in Porto Azzurro.  Dal febbraio 2019 segue, presso Shakti Centro Yoga Kundalini  di Piombino, il corso professionalizzante di primo livello, per conseguire la qualifica di Teacher Training di Yoga Kundalini.
E’ esperta di particolari tecniche di respirazione, in grado di aiutare le persone a ritrovare uno stato di calma interiore, riscoprendo l’armonia con la natura.






giovedì 29 agosto 2019

Metti che un giorno...

Metti che un giorno...

... metti che c'è scirocco e tutto si appiccica, la pressione scende sotto i piedi, le gocce di sudore rotolano... e allora decidi di andare un po' più su, più in alto, per esempio a Rio Elba.
Dell'eremo di Santa Caterina D'Alessandria ho già raccontato.
Lì vicino, c'è l'orto dei semplici gestito dal signor Ballini che gestisce un apiario, adagiato sul fianco della collina, fra effluvi di salsedine e di rosmarino, produce un ottimo miele e cura e rende produttivo un orto che è un museo vivente di piante originarie native.
Mentre le api vagano di fiore in fiore, passeggiamo per l'orto, leggendo i cartellini in latino, annusando i refoli d'aria, senza toccare, come se fosse un negozio di cristalli.

Il signor Ballini conosce profondamente il funzionamento della società delle api, ed è in grado di mostrarla in un modo non pericoloso per l'osservatore.  E' un mondo affascinante, che è stato notato e segnalato dai media:


Il suo miele è rinomato, ma lo sono anche gli oleoliti di iperico e di elicriso, pronti adesso dopo due mesi di esposizione al sole bollente di questa estate.
Scendendo dall'orto, approfittiamo del portone dell'eremo che fortunatamente è aperto.  E' umido e soffocante, ma la potenza energetica dell'edificio si avvita in spirali infuocate che soffiano verso l'apertura, dove l'aria più fresca di fuori si mischia a quella densa dell'interno.

Usciti all'aperto, mentre la brezza gioca con la chioma degli alberi, un canto misterioso sgorga dalle antichissime pietre, sembra affiorare dal grembo della terra.
Vengo attratta da quel suono, che a volte sembra umano a volte sembra le giravolte del vento fra il campanile e il grande eucalipto centrale, che domina il piazzale antistante.  Mi affaccio al portone, non sapevo cosa aspettarmi, se un coro di angeli o una materializzazione degli stessi.  Sapevo solo che i gorgheggi sembravano gregoriani, quindi non mi attendevo di scoprire dei monaci color zafferano oltre il portone.
Ne emerge, invece, un omino magro vestito da ciclista che mi confida - Sono un direttore di coro....
Ah ecco, commento, e rimango ammirata.  Si trattava davvero di gregoriano, e lo faceva uno che se ne intende.
- Ha un'acustica perfetta questa chiesa - dice lui, salutandoci.
Noi restiamo a bocca aperta e ci allontaniamo.  Lui rientra, si mette al centro dell'acustica perfetta, e ricomincia quel canto fantastico che non sembra umano.

Dopo, decidiamo di rimanere a cena a Rio Elba, luogo che mi piace moltissimo:  ha un respiro e un ritmo che si accordano con i miei.
Non ci sono molti ristoranti tra cui scegliere.  Decidiamo per quello che somiglia di più a un'osteria e non concede molto agli stili moderni troppo sofisticati.  
Beh, lì ci serve un signore - forse il proprietario, forse un cameriere, potrebbe essere chiunque, anche un magistrato di passaggio che ama cimentarsi in cucina, in una parola, un tipo non catalogabile - il quale si mette a discorrere con noi degli studi di Negroponte al MIT (Massachusetts Institute of Technology, luogo sacro per informatici e sociologi), del III libro del Capitale di Karl Marx, che lo stava rileggendo proprio in questi giorni e non era d'accordo su certi algoritmi....


Finiamo a parlare di Gaetano Bresci, l'anarchico toscano - pratese come il nostro amico - che nel luglio del 1900 freddò re Umberto I con tre o quattro colpi di pistola.  Bisogna aggiungere che stava vendicando gli anarchici milanesi che erano stati massacrati dal noto Bava Beccaris nel 1889.

L'incontro con queste persone:  uno di quei momenti magici che accadono talvolta quando le cose si mettono con dolcezza a fluire secondo i ritmi dell'Universo, e all'Universo gli gira bene.





venerdì 12 luglio 2019

Edicola Elbana Show



Edicola Elbana Show è la splendida idea di Zio Stix e Federico Regini, con cui mi hanno messa in contatto Valeria Romanini e Pedro Petrucci.  Ispirata a Fiorello e alla sua Edicola - che tra l'altro girava vicino a casa mia, a Roma, sulla via Flaminia.

Regalo il libro che ho scritto su mio padre a Valeria, grande amica e maga erborista, e a lei improvvisamente viene in mente Pedro.  Un colpo di telefono e lui ci raggiunge mentre ci prendiamo un aperitivo nella piazzetta del Barkollo a Porto Azzurro.
Detto fatto, fra una patatina e un sorso di  bianco secco, avviamo l'idea di una presentazione del libro a Portoferraio, il 24 luglio, nella famosa e amatissima libreria di Silvia Boano Mardilibri.

Il 24 alle 19 vi aspettiamo lì!

lunedì 8 luglio 2019

Capobianco



A lungo ho pensato che Capo Bianco si chiamasse così per l'evidente preponderanza del colore bianco, dovuto alla spiaggia di sassi bianchissimi velati di blu, come la maggior parte della costa che va da Portoferraio a Enfola.

Poi, da qualche parte ho letto qualcosa, oppure ho sentito definire quel tratto di costa come la "Costa Bianca"... e allora qualcosa ha cominciato a girare nella testa e ho pensato a Robert Graves.
L'insigne studioso, e raffinato scrittore, pubblicò nel 1948 La Dea Bianca.  Grammatica storica del mito poetico. In Italia lo pubblica Adelphi nel 1992.

Graves sviluppa la sua ricerca seguendo il filo - non proprio scientifico, ma molto spesso ispirato e romanzato - di James Frazer (Il Ramo d'Oro, 1922).  Si tratta di quel tipo di scrittori anglofoni, molto coinvolti dalle discipline esoteriche, che hanno portato avanti ricerche di tipo antropologico e mitologico anche serie, ma spesso velate dal fortissimo coinvolgimento personale.  Si tratta di approcci molto diversi  da quello asettico e "oggettivo" di Karoly Kerényi : non che l'oggettività sia possibile nelle scienze sociali, tuttavia una certa capacità di trovare l'equilibrio fra coinvolgimento e distacco (Norbert Elias) è richiesta allo studioso rigoroso che indaga su materie tanto incandescenti.

Prendiamo quindi con beneficio d'inventario le tesi di Graves, riconoscendone il fascino profondo.  Del resto, c'è anche da dire che, in queste materie, l'aspetto esperienziale personale è raccomandato.  Perciò, possiamo senz'altro accogliere le suggestioni di Graves, sperimentandole personalmente, senza pretendere di definire in modo risolutivo la "verità scientifica" di immagini e concetti.
Graves propone l'idea dell'esistenza, in tempi antichissimi e arcaici, di un'unica divinità europea, signora e padrona della vita e della morte, incarnata nelle fasi lunari e connessa intimamente all'archetipo della Grande Dea Madre Mediterranea (ancora fortemente visibile a Creta nell'antica dea dei serpenti).

Tutte le divinità femminili mediterranee deriverebbero da quell'archetipo originario, rinvenibile nei culti europei successivi, incluso quello cattolico nel quale la Madonna riassume molte caratteristiche dell'antica Dea.

La bianca Leucotea


Approfondiamo questo tema del sacro femminile e del colore bianco.  Su wikipedia leggiamo che:

Leucotea (in greco anticoΛευκοθέαLeukothéa) e letteralmente "Dea bianca", da intendersi forse come "'La dea che scorre sulla schiuma del mare" è un personaggio della mitologia greca ed è una divinità del mare.  Nella mitologia romana viene identificata con la dea Mater MatutaLa Dea Leucotea non è stata generata e non ha avuto sposi o figli.  Di Leucotea, la "dea marina bianca" ed a volte invocata dai marinai in difficoltà, si ha l'esempio più esplicito nell'Odissea quando Omero scrive che emerge dal mare e dona un velo ad Odisseo, quasi naufrago ed in balia dei venti mentre, a riguardo della sua adorazione terrena, ne esiste traccia tra gli scritti di Alcmane che, nel settimo secolo a.C., scriveva dell'esistenza di un santuario a lei dedicato.  Se si considera che la tradizione mitologica dei greci è sempre stata quella di attribuire ad ogni personaggio divino un'ascendenza immortale, la figura di Leucotea rappresenta un'eccezione poiché nei suoi riguardi non esiste alcuna testimonianza che confermi questa consuetudine ed invece sono molte le opere (o leggende) che le attribuiscono un'origine umana.
Tra le due versioni che fanno risalire Leucotea ad una precedente donna mortale, la più diffusa porta ad Ino che, nel riassunto dei suoi svariati miti, commise (od assistette) ad un crimine verso i suoi figli ed in seguito si gettò nel mare.
Ino fu poi tramutata in Leucotea per volere degli dei.
Diversamente dal numero di autori che scrivono di Ino, uno solo (Diodoro Siculo, che tra l'altro non scrive di Ino), racconta di una ninfa di nome Alia che si gettò nel mare per la vergogna della violenza subita dai suoi stessi figli.  Anche Alia prese in seguito il nome di Leucotea.

L'aspetto più interessante di questa ricognizione
 riguardo la Dea Bianca sta in questo:  il contatto del corpo mortale con il mare trasforma la protagonista in una Dea.
Un essere umano di genere femminile diventa divino al solo contatto con l'acqua del mare!  Il tuffo nelle acque salate, giustificato nelle leggende con la delusione d'amore, è in realtà una forma di iniziazione, un processo che divinizza l'umano, che rende immortale il mortale:  in particolare il genere femminile!

Per concludere, farò cenno a uno dei libri che più amo:  Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese.

Leucò è appunto Leucotea.

Ricorderò qui il suo incontro con Circe e il loro discorrere di uomini, come per esempio Odisseo, che rimase imbrigliato nella rete di Circe e poi se ne liberò.
Se ne liberò?
Le due donne divine parlano così:

LEUCOTEA  Troppe cose ricordi di lui.  Non l'hai fatto maiale né lupo, e l'hai fatto ricordo.
CIRCE  L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale.  Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.  Nomi e parole sono questo.  Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnàti.
LEUCOTEA  Circe, anche tu dici parole.
CIRCE  So il mio destino, Leucò.  Non temere.

Confini e tessitrici di confini: donne e maghe


Nè maiale nè lupo, l'uomo non sa, non capisce.
E la donna, Leucò, si tuffa nell'acqua salata e sacra del mare e diventa Dea!

Quello che è interessante è che un uomo, la sensibilità di un uomo, abbia colto così in profondità l'importanza del mito femminile, il mito mediterraneo, e la sua dissoluzione nella cultura contemporanea.
Il femminile è associato al mare, soprattutto alla spiaggia.  Anzi, a quel particolare spazio, sempre cangiante, che separa la spiaggia dal mare e che nello stesso tempo li unisce.  Parlo di quel bordo mobile che separa l'acqua dalla terra e che è in costante destrutturazione.  Un classo ciclo critico:   frammentazione e dispersione del confine, sommovimento, ridefinizione del confine, nuovo assetto precario.  E' il confine più ansioso che conosciamo:  ben diverso da quello fra mare e cielo, molto più solido e affidabile.  Lì è facile percepire la fessura fra i mondi, il passaggio segreto, quello che nel Truman Show diventa la chiave della narrazione.

Ma qui, tutt'altra è la storia.  Qui c'è una rivoluzione continua, e una trasformazione nella continuità, perché poi alla fine, il confine resta sempre quello, salvo mareggiate  storiche (tra l'altro, sempre più frequenti).

Quindi il femminile è analogo a un confine osmotico e provvisorio, ciclico, imprevedibile, non codificabile.  Il femminile governa la soglia e non ne cede le chiavi a nessuno:  troppo  problematica la soglia fra acqua e terra, troppo incontrollabile.  Proprio come  la fecondità femminile, o come i poteri della magìa.

E, quindi, la dimensione del confine, specie se incontrollabile, richiede il polso fermo e potente della donna, della femminilità, della Dea.  Ecco perchè, quando ho letto o sentito parlare della "costa bianca", mi ha raggiunto immediatamente la presenza totalizzante e fascinosa della Dea Bianca.  La Dea di Robert Graves e di Cesare Pavese.

Rivoluzione e mito greco


Dialoghi con Leucò è il libro che tenevo sul comodino a vent'anni, e che leggevo a tratti, ogni notte, dopo quelle giornate di lotte e ragionamenti, di esplorazioni e di progetti, di fughe e di speranze:  gli anni Settanta.  Gli anni del capovolgimento del mondo, che poi ci ha inghiottiti e macinati.

C'era la rivoluzione nei nostri sogni giovanili.

Ma Dialoghi con Leucò era un refrigerio e una consolazione, un approdo e un rifugio.  Perchè la radice del mito affonda profondamente nella nostra essenza.  Perchè prima che cristiani o marxisti, nelle profondità della psiche, noi europei siamo inevitabilmente greci!